Negli anni ’60, la Montedison si affida all’Università di Pavia per dimostrare la non nocività dei componenti chimici trattati.
In Italia, si ammalano ogni anno 7mila lavoratori, di cui 4mila500 muoiono di cancro per esposizione professionale.
Secondo indagini effettuate dal patronato Inca-Cgil, ogni anno, solo a 35 persone viene riconosciuto lo stato di inabilità professionale dei 7mila lavoratori ammalati.
Porto Marghera produce:
- 350mila tonnellate di cvm,
- 300mila tonnellate di pvc,
- 242mila tonnellate di effluenti nocivi vengono immesse nell’aria,
- 74mila dei quali provenienti dalle aziende Montedison;
ogni giorno fuoriescono:
- 4mila600 Kg di cvm,
- 3mila500 Kg di dicloroetano,
- 800 Kg di nitrieacrilico,
- a seguito di “disfunzioni tecniche” vengono bruciate mille500 tonnellate di nafta.
È stato calcolato che il materiale bruciato ogni giorno da sole 2 ciminiere è l’equivalente utilizzato in un giorno di inverno in tutta Mestre; da considerare a parte il particolato non combusto.
Ogni anno vengono scaricati nella laguna veneziana 22mila tonnellate di prodotti tossici e 45 tonnellate di metalli pesanti.
Vista l’eccessiva mortalità a causa della cirrosi epatica riscontrata negli operai addetti al cvm, azienda e medicina (dottori, Inam, ecc.) attribuisce la causa delle morti all’abuso di vino, definendo “ubriaconi” gli operai.
Medici russi, già negli anni ’40 avevano individuato il cvm quale sostanza altamente cancerogena. Il professor P. L. Viola della Solvay di Rosignano, illustra i danni creati dal cvm nel maggio del 1970 al decimo congresso internazionale sul cancro tenutosi a Huston (USA). Dalla Dynamit-Nobel di Troisdorf, vicino a Bonn, 85 dipendenti si sono rivolti alla magistratura per avvelenamento da cvm; da esami effettuati dall’università preposta al controllo, i danni causati sono:
- impotenza,
- disturbi circolatori,
- ingrandimento della milza fino a 7 volte il normale
- cirrosi epatica (…quella che nel veneto è stata diagnosticata “malattia del vino” perché i nostri operai sono ubriaconi).
Nel 1970 in Italia, i morti per incidenti sul lavoro sono 3mila720; il doppio di quelli di altri paesi del Mercato Comune Europeo.
Gli industriali contestano la L.300/70 che impone agli uffici di collocamento l’invio del personale mediante graduatoria; giudicano i primi delle liste farabutti, brigatisti e camorristi; Gianni Agnelli chiede che si indaghi sugli uffici di collocamento.
Nel 1972, i decessi per “morti bianche” sono 4mila776.
Solo nel 1973, Cesare Maltoni pubblica i primi risultati sul cvm e pvc e cataloga i prodotti come cancerogeni.
Al Petrolchimico, s’insinua il dubbio sui continui silenzi relativi alle morti e ai danni causati dai prodotti nocivi. La mancanza di informazioni dall’azienda, dalla sanità, dal sindacato e dallo Stato, è d’obbligo per l’espansione del boom economico. Voci all’interno della fabbrica parlano di accordi tra direzione e sindacato nel mettere a tacere la gravità della situazione.
Il medico Salvatore Giudice, dell’infermeria del Petrolchimico, minimizza da sempre il problema; la conferma viene da Corrado Clini, direttore del Centro medicina del lavoro dell’ULSS 13 di Marghera: “…le questioni relative alla protezione della salute all’interno del Petrolchimico sono da anni gestite in modo contradditorio e spesso confuso e gli stessi enti pubblici hanno accettato che la salute dei lavoratori potesse essere soggetto di trattative politico-sindacale…”
Si incarica l’Università di Padova di effettuare studi sulla pericolosità dei prodotti di Marghera e analizzandone gli effetti. Con notevole ritardo, i dati vengono consegnati solo nel 1977 e solo parziali. Al 45% dei lavoratori sottoposti ai controlli vengono diagnosticate forme di alterazioni tumorali; il cvm produce “alterazioni nei gametimaschili tali da provocare una morte molto precoce del prodotto del concepimento”.
A seguito di frequenti decessi dovuti al nitrile acrilico, viene chiuso in tutta fretta il reparto Am10.
Il 22 marzo 1979, l’acido floridico fuoriesce dall’imbottigliamento e ammazza 3 ricercatori e ne ferisce altri 5. Il 27 marzo viene proclamato lo sciopero generale e il sindaco di Venezia proclama il lutto cittadino. Il rappresentante della Uil, dirigente del Petrolchimico, ad una intervista in tv, giudica l’incidente come “mera fatalità”. Le successive indagini da parte della Magistratura individuano nell’azienda la mancanza delle elementari misure di sicurezza.