Nel febbraio 1917, nel pieno della “Grande Guerra”, mentre migliaia di italiani perdevano la vita a difendere il territorio Italiano, i grandi industriali veneti, capitanati da Giuseppe Volpi, grande fautore del progetto di industrializzazione di Venezia (come proprietario della SADE, vedi altro Orrore d’Italia disastro del Vajont), progettano l’occupazione di un insediamento industriale alle porte di Venezia con annesso un nuovo centro urbano per gli operai.
Nel 1919 è già il 1° porto europeo in termini di grandezza; nel 1921 la chimica di Porto Marghera è già operativa.
Il conte Vittorio Cini, disegna e realizza Marghera (allora definita città giardino), pronta per accogliere 30 mila abitanti: appartamenti per gli operai, casette bifamiliari per gli impiegati e villette per i dirigenti.
Nel 1929 nella zona industriale di Marghera sono presenti 55 aziende con 10mila lavoratori occupati; 15 sono le aziende chimiche.
Nel 1931 13mila disoccupati veneziani sfilano nelle piazze contro i lavoratori immigrati della terraferma; la scelta della dirigenza industriale è preferire manodopera “campagnola” da quella “cittadina”; la prima è più malleabile, meno attenta ai problemi sociali e molto più ubbidiente e disciplinata.
Sono le mire espansionistiche fasciste a far si che Porto Marghera si estenda: le navi dai cantieri Breda, la siderurgia con l’Ilva, la Piombo e Zinco, la San Marco con la produzione del cromo, la Sava con l’alluminio e la neonata Montecatini con la trasformazione di prodotti minerali e chimici.
Ma è nel 1940 che vi è l’espansione maggiore; la chimica comincia ad avere sempre maggiori commesse, sia interne ma soprattutto estere: Agip, Breda, Italsider, Sava, Leghe leggere, Montecatini, Vetrocoke e Azotati; sono 17mila i dipendenti occupati.