È nell’estate dell’80 che avvengono i primi scioperi per il rinnovo del contratto. L’azienda, stufa dell’incontrollabile situazione applica la serrata. Gli operai rispondono con l’autogestione.

Senza capi e dirigenti, la fabbrica viene avviata e mandata a regime dai delegati. Andrea Salvi, giovane delegato del Cv24, si fa notare per le capacità e la competenza nel diramare ordini e disposizioni. Dopo quattro giorni di autogestione, Salvi consegna la fabbrica al dirigente di turno, mentre tra gli operai serpeggia il malumore, dovuto ad un continuo rimproverarsi di aver sbagliato. C’è rottura di rapporti tra dirigenza sindacale, Consiglio di FabbricaFederazione di Categoria e le strutture Confederali. Molti lavoratori stracciano la tessera del sindacato.

La Montedison coglie la palla al balzo; intende realizzare la ristrutturazione aziendale: diminuire il numero degli operai da 8mila a 5mila. Inizia il terrore del licenziamento.

All’inizio dell’81 l’azienda decide di tagliare 8mila occupati in tutte le sedi Montedison; 1500 a Marghera.

Il 23 gennaio uno sciopero viene indetto dal settore chimico ma la presenza operaia è molto rada. Molti sono invece gli studenti e i giovani dei centri sociali. Il 30 gennaio altro sciopero con manifestazione; nascono tafferugli con la polizia e gli studenti vengono caricati con inaudita violenza. Il 17 febbraio 30mila persone scendono in piazza a protestare.

Il 19 febbraio, a Roma, viene deciso che gli 8mila lavoratori operanti nelle fabbriche della Montedison, entrino nella Cassa Integrazione Guadagni. A Marghera, a 616 operai viene consegnata la “lettera di cassa integrazione”.

Nel gennaio del 1981, Antonio Savasta prende le redini delle Br Venete e decide di incrementare gli atti terroristici. Ha già ammazzato il colonnello dei Carabinieri Varisocon 4 colpi di fucile.

I tre segretari confederali del sindacato (Luciano LamaPierre Carniti e Giorgio Benvenuto) sottoscrivono un patto segreto col Ministro degli Interni per contrastare le infiltrazioni terroristiche nelle fabbriche.

Il 20 maggio 1981 a casa di Giuseppe Taliercio si presentano 4 brigatisti travestiti da finanzieri: Giuseppe Lo BiancoGianni FrancescuttiPietro Vanzi e Antonio Savasta mentre Roberto Vezzà resta nel pulmino rubato. Dopo aver imbavagliato tutti i componenti della famiglia, perquisito la casa in cerca di documenti e caricato il dirigente su un baule, i quattro partono alla volta del Friuli, dopo aver scambiato il pulmino con un auto. Il 31 maggio esce un primo documento firmato da “Colonna Anna Maria Ludmann” dove spiega che Taliercio sarà giudicato per lo sfruttamento della classe operaia e per l’attuale situazione dei lavoratori in cassa integrazione.

Nella fabbrica c’è chi si auspica che il sequestro sia un modo per ottenere la fine della cassa integrazione. Le Br stendono uno striscione sul cavalcavia proprio davanti alla sede delle confederazioni sindacali.

Molte persone tentano di far ragionare le Br che provvedano al rilascio dell’ostaggio. Ci prova il ministro Gianni De Michelis con il tentativo di ricorrere ad informazioni tramite Paolo Barbiero dietro compenso di 200 milioni; ci prova anche Don Franco De Pieri, un prete molto impegnato nei confronti dei tossicodipendenti.

Il 27 giugno, dopo 37 gg di prigionia, viene emesso il comunicato n. 5, fatto trovare a Padova dove riporta la sentenza di condanna a morte del dirigente della Montedison, colpevole di essere uno dei principali protagonisti della morte di centinaia di operai.

Il 5 luglio Giuseppe Taliercio viene ucciso con 17 colpi di pistola da Savasta. La macchina, col corpo del dirigente, viene fatta trovare a pochi metri dall’entrata del Petrolchimico, a dimostrazione della sicurezza e della spavalderia che li distingue.

Il 7 luglio, una grandiosa manifestazione in piazza Ferretto, protesta contro il terrorismo. Sono presenti i tre segretari confederali: LamaCarniti Benvenuto.

Risultati immagini per esecuzione patrizio peciGianni De Michelis, pochi giorni dopo, ad una intervista al quotidiano “La Repubblica”, dichiara: “…c’è una parte del sindacato, una frangia del Partito comunista che in fabbrica tirano la volata alle Brigate Rosse”. Il giornale “L’Unità” parla di “ignobili” accuse. La Cisl e la Uil si schiera a favore del ministro socialista. Le Brigate Rosse, intanto, sequestrano e ammazzano Roberto, il fratello di Patrizio Peci, pentito delle Br che permette alle forze dell’ordine di far arrestare 70 brigatisti.

Unanime è lo sdegno di tutte le forze politiche, sindacali e operaie alla scoperta del video girato sull’esecuzione di Roberto Peci .

Sono stati gli atti sanguinari perpetrati dalle Brigate Rosse a far desistere coloro che vedevano in questi movimenti rivoluzionari, la possibilità di avere rispetto e giustizia per i torti subiti da anni e anni di subordinazione. La lotta armata si è fatta prendere la mano da soggetti privi di scrupolo, perdendo l’obiettivo principale. Dopo le uccisioni di GoriAlbanese e Taliercio, sono pochi coloro che credono in un seguito. All’interno delle stesse Br, c’è chi si dissocia dall’azione armata intesa come rapimenti a seguito di uccisione. La spaccatura porta alla scissione della colonna veneto-friulana delle Br.

Nel gennaio 1982, viene rapito a Verona il generale James Lee Dozier. La Polizia, grazie alle confessioni di Michele Galati, riesce a salvare il generale americano e ad arrestare Cesare di LenardoEmilia LiberaGiovanni Cucci e Antonio Savasta. Quest’ultimo fa il nome di Oliviero che a sua volta coinvolge Francescutti. Vengono arrestate anche Maria Giovanna Massa e Anna Maria Sudati. Dalle confessioni di Galati, la polizia pensa di trovare materiale anche dentro al Petrolchimico e fa irruzione ed arresta Franco Bellotto; dopo un periodo di reclusione al supercarcere di Fossombrone, viene rilasciato perché estraneo ai fatti. Leonio Bozzato viene arrestato perché facente parte delle Br ma solo nel primo periodo, prima dei fatti di sangue.

Indagini della magistratura e articoli di giornalisti parlano di uso della tortura come mezzo per scoprire le cose; anche il sindacato del Siulp si dissocia dai colleghi poliziotti. Alcuni detenuti – Alberta BiliatoAnna Maria Sudati – denunciano maltrattamenti, sevizie e violenza. Qualche poliziotto di via Ca’ Rossa a Mestre allude ad una vendetta al commissario Albanese e giustifica i mezzi. L’agente Marangon confida che alle due brigatiste hanno subito torture da regime fascista. L’agente Gianni Trifirò viene isolato dai colleghi perché denuncia i sopprusi; viene ucciso 4 anni dopo in un misterioso conflitto a fuoco. La magistratura rinvia a giudizio sette poliziotti, GenovaAmoreArallaD’OnofrioCarabalonaDi Janni. Le diagnosi mediche effettuate sul Di Lenardo parlano di “effettive lesività prodotte con l’applicazione di un elettrodo”. Emilia Libera dichiara di aver subito sevizie e torture durante gli interrogatori. Il capitano Riccardo Ambrosini, si autodenuncia per la situazione che si è venuta a creare.

Durante il processo, tutti i brigatisti prendono le distanze da Antonio Savasta, reo di aver proceduto di propria iniziativa a condannare a morte i sequestrati.

Al Petrolchimico, vengono incrementate le assunzioni di ex agenti, con il compito di “controllare” da vicino il movimento operaio. Vengono creati schedari e catalogate le persone per mezzo del “sentito dire”. Anche i telefoni interni vengono messi sotto controllo.

In base a voci, vengono coinvolti tra appartenenti alle Br, anche soggetti che nulla hanno a che fare con i brigatisti. Il pentitismo viene oltremodo preso in considerazione e basta un solo incontro per rendere uno sconosciuto in “brigatista”. Vengono arrestate persone che devono difendersi dall’accusa di brigatista. Claudio Cerica e Giuseppe Zambonvengono arrestati e solo dopo uno sciopero della fame vengono messi agli arresti domiciliari. Viene emanata la legge sulla carcerazione preventiva.

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